Cosa vuol dire sentire che c’è un muro che ti separa, ti confina, quasi ti soffoca?
Questa sensazione, il “feel the wall” puoi davvero sentirlo solo alla fine di questa mostra ospitata all’interno di Palazzo Belloni, a Bologna.
Una mostra che è un crescendo di muri: muri che interagiscono con te, muri di cemento armato ma soprattutto tanti muri di parole.
Sì, perché le parole hanno quel potere di colpirti, farti male davvero, più di uno schiaffo in faccia.
Questa mostra l’ho vissuta come un percorso che mi ha stupito ad ogni passo e mi ha coinvolto completamente. È stata più di una semplice mostra, la definirei un percorso che ti porta a riflettere.
Sono tanti i muri, veri e propri, fatti di mattoni, se non addirittura di cemento, che noi uomini abbiamo deciso di costruire. Sicuramente il muro di Berlino è l’emblema di tutti quei muri.
La sofferenza che ha portato, da sola, dovrebbe averci fatto capire che un muro non porta mai a cose positive. Così non è per tutti, evidentemente. Non mi addentro nella questione, sono sicura che hai capito cosa intendo.
Sapevi che a Bologna esiste una seconda cerchia delle mura, detta Cerchia dei Mille, o dei Torresotti? Le mura avevano 18 porte, anche dette serragli o appunto “torresotti” perché sopra di loro c’era una torre. Di queste porte, ad oggi, ne sono rimaste solo 4 in: via Castiglione, via del Pratello, via Piella, via San Vitale.
E mentre leggo mi accorgo di come stia accadendo qualcosa tra me e il muro dietro di me proiettato sulla tela: man mano che mi muovo appaiono delle macchie fucsia sul muro. Non sappiamo solo costruire muri, sappiamo anche bene come abbatterli.
Ed è questo che ci salva, credo.
Tranquillo non voglio spoilerarti tutta la mostra!
Ma non posso non raccontarti dei muri di parole. Da copywriter adoro le parole e quindi anche i muri di parole.
Muri di parole o parole sui muri?
“Sui muri si è scritto da sempre.
Con le parole si è spesso parlato di muri, sui muri spesso si trovano le parole.
E’ un’associazione strana. Le parole sono portatrici di significato […] I muri invece bloccano, ostacolano […] Forse la loro diversità li fa star bene insieme. […] entrambi sono fatti per durare, combattono entrambi contro il tempo, cercando di resistergli e di rimanere, di fissarsi e fare memoria.”
In fondo, il muro è il mezzo, il supporto per le parole. Quindi non c’è nulla di strano nel parlare di muri e di parole.
In tanti scrivono sui muri per: lasciare un segno, trasmettere un messaggio, fare una dedica, lasciare una traccia di un evento importante che hanno vissuto.
Anche quando le parole sono sul muro siamo noi ad interpretarle, a dar loro senso, a farle uscire da quel confinamento. Ed è lì che le frasi prendono voce e assumono significati diversi per ciascuno di noi, in base al nostro modo di essere e alla nostra percezione ma anche al nostro passato.
È allora che scardiniamo i muri e andiamo oltre.
Ogni muro è un ostacolo. Un ostacolo che possiamo superare.
Un muro può essere tante cose:
- un muro funzionale
- un expressive wall
- un muro interiore…
La frase che più mi ha colpito, tra quelle scritte sul muro, è stata: “The greatest thing you’ll ever learn is to love and to be loved in return”. È la frase preferita di un mio amico. Ho sempre pensato che fosse una bella frase ma quando l’ho vista sul muro, inserita in quel contesto sono riuscita a dargli quel senso più profondo che ha.
Cosa c’è di più forte dell’amore?
L’ultima parte della mostra è segnata in tutto e per tutto da “The Wall”. Sì, mi riferisco alla canzone dei Pink Floyd. E su questa parte non ti svelo nulla. Se sei un fan dei Pink Floyd potrai immaginare.
N.B.
Ogni riferimento a persone o cose non è puramente casuale.
Non sono a favore di quelli che imbrattano i muri. Anche gli artisti di strada dovrebbero avere i loro spazi.
Sei per caso uno street writer?