Per quattro mesi, ogni sabato, sulla mia pagina Facebook ho condiviso con te il mio commento su un articolo della rubrica di marketing de Il Sole 24 Ore. Oggi mantengo la promessa che avevo fatto: raccolgo i casi più interessanti che ho commentato e ne tiro fuori un glossario con tutte le parole straniere incontrate e i relativi spunti di marketing per le piccole aziende ad esse collegati.
Usare lo stesso linguaggio, infatti, secondo me è molto importante per entrare con sicurezza nel mondo del marketing e tirarne fuori idee per il proprio business. Poi, ovviamente, bisogna sempre aggiornarsi, essere curiosi, e avere il coraggio di provare a ripensare la propria attività.
Cominciamo con un cambio di rotta nei motivi che spingono le persone a comprare da un brand piuttosto che da un altro. Cambio di rotta di cui parlava Paolo Iabichino già nel 2018 al WMF di Rimini.
L’importanza di prendere posizione
Le persone, oggi, non guardano più soltanto al prezzo o alla qualità ma ai valori dei brand e alle loro prese di posizione. I dati dello studio “From Me to We” di Accenture Strategy, riportato da Andrea Biondi su Il Sole 24 ORE, dicono che:
“[…] il 73% dei consumatori italiani attenda dal brand posizioni chiare su questioni sociali, culturali, ambientali, e politiche. […] che che sia trasparente su come produce e distribuisce i prodotti (83%).”
Ho approfondito questa nuova tendenza in un articolo in cui racconto, attraverso gli esempi dei grandi brand, come anche un piccolo brand – che tu sia una piccola azienda o un freelance – può prendere posizione.
Nello stesso periodo in cui si parlava di questo studio molti brand famosi avevano deciso di annunciare l’abbandono dei social: all’estero, Lush che aveva chiuso la pagina Facebook in Inghilterra e in Italia, Unicredit aveva deciso di chiudere sia la pagina Facebook sia il profilo Instagram.
Stare sui social o abbandonarli
L’articolo che mi aveva colpito, raccontava, che non si era trattato di un fenomeno nuovo ma che, già mesi prima, altri brand avevano scelto di abbandonare i social senza, però, fare annunci clamorosi. Al di là dello stupore, che hanno provocato quegli annunci, in molti cominciavano a chiedersi se un brand avesse davvero bisogno di essere presente anche sui social e ne era nato un dibattito.
Unicredit aveva giustificato l’abbandono dei social dichiarando che voleva “valorizzare i canali i canali digitali proprietari per garantire un dialogo riservato e di alta qualità”. Per molti, però, si è trattato di una scelta di comodità: meno tempo da dedicare a risposte pubbliche, che, spesso, mettono in difficoltà il social media manager/community manager – do’ per scontato che il lavoro non sia stato affidato al cuggino di turno – e creano tensioni con i clienti.
Se mi chiedessi quale possa essere il vero motivo per cui si decide di abbandonare i social risponderei con questa frase:
“l’online è questione di relazioni”. (Vera Gheno)
Per capire meglio come un’azienda o chi la rappresenta dovrebbe muoversi sui social – visto che abbandonarli solitamente non è la soluzione migliore – ti consiglio di leggere “Tienilo acceso” di V. Gheno e B. Mastroianni e di tenere a mente le quattro massime conversazionali del filosofo inglese Herbert Paul Grice, citate dalla Gheno:
- massima della quantità ➡dire il giusto
- massima della relazione ➡intervenire con cose pertinenti
- massima del modo ➡comunicare chiaramente, attingendo alle proprie competenze
- massima della qualità ➡puntare sulla sincerità
Rimaniamo in tema social. In un altro articolo Carlo Fornaro, Presidente di Brand Reporter Lab, fa notare che l’azienda deve smettere di:
- parlare solo di sé
- usare lo stesso contenuto su tutti i social
Un modo per non parlare solo di sé e differenziarsi dai competitor è diventare una media company, ovvero produrre contenuti che parlino di argomenti correlati al proprio business. RedBull è un ottimo esempio di media company: vende drink energizzanti ma sul suo sito parla di attività sportive e degli eventi sportivi che sponsorizza.
5 termini di marketing che non possono mancare nel tuo vocabolario
Eccoci arrivati al glossario che ti avevo promesso. Rivediamo insieme alcune delle parole che ho commentato nella mia rubrica, ritagli di giornale, tratti dalle pagine de Il Sole 24 Ore dedicate al marketing.
Nanoinfluencer
Se stai pensando “nano che?” ti capisco. Tranquillo, è più semplice di quel che sembra.
Come ha spiegato Matteo Pogliani, fondatore dell’osservatorio nazionale sull’influencer marketing,
“Si tratta di persone che creano contenuti fortemente legati a particolari interessi […] Il loro vantaggio è di risultare comuni, più vicini agli utenti e quindi maggiormente credibili. […] E il costo di ingaggio è più sostenibile.”
Subscription economy
È un sistema di sottoscrizioni. Il sistema che ha reso famoso il brand Venice Dollar Shave Club e che viene utilizzato da Amazon, Netflix e Spotify. Per funzionare deve essere coinvolgente e di tipo “premium” e, soprattutto, facilitare la vita delle persone. Prima di mettere su un sistema del genere devi, però, aver creato un dialogo, una stretta relazione con le persone.
Corporate citizenship, Glocal
Un’azione di corporate citizenship significa coinvolgere la comunità “per risolvere problematiche nelle vicinanze geografiche”. I grandi brand diventano glocal, ovvero non guardano più solo al globale ma anche al locale, alle problematiche “sotto casa”. Esempi di grandi brand che già agiscono localmente sono: Cisco, Heineken e Jagermeister del Gruppo Campari.
Onlife
Questo termine nasce dall’unione di due parole, online e life, ed è sempre più diffuso. Se prima si parlava spesso di contrapposizione tra l’offline e l’online, adesso tutto deve essere onlife. Il punto non è essere presenti offline o online ma come dice Stigliano – co-autore di Philip Kotler del libro “Retail 4.0” -: “il brand deve intercettare ciò che è rilevante per il consumatore, indipendentemente dall’esperienza”.
Un esempio di come essere onlife è il web assistant di Kasanova: un commesso che si trova in negozio e usa un visore hi-tech per aiutare i clienti a fare shopping da casa. È la soluzione che integra “tecnologia ed empatia”.
Siamo arrivati alla fine della prima parte di questo glossario che sono sicura, col tempo, potrò far crescere con nuovi termini stranieri. Termini che all’inizio possono far storcere il naso o suscitare una risata e poi diventano utili punti di partenza per creare nuove strategie di marketing. Perché il marketing è così:
- non ci sono certezze
- la risposta a quasi tutte le domande è dipende
- in continua evoluzione
- prende spunto dalla vita di tutti i giorni
- necessita di tanti test
- ha bisogno del coraggio di riprovarci e di molti piani B, C, D…
Spero che tra tutte questi esempi tu abbia trovato qualche nuova idea da sperimentare per portare la tua attività oltre quello strato bianco di nuvole in cui stanno i tuoi competitor, per comunicare meglio con le persone e spiegare loro perché potrebbero voler diventare tuoi clienti.
Di esempi di come fare del buon marketing – ovvero promuovere la propria attività e dare valore alle persone – ne trovo davvero tanti tra i grandi brand. Mi piacerebbe trovarne anche tra i piccoli – i professionisti, le piccole aziende, gli artigiani – per farli conoscere anche agli altri. Tu ne conosci qualcuno che vuoi segnalarmi? O magari il piccolo brand di cui parlare è proprio il tuo? Scrivimi così gli diamo visibilità e diffondiamo l’idea che anche i piccoli brand possono tirare fuori ottimi modi per dare valore alle persone.
E se pensi che spunti come quelli che hai letto in questo articolo ti possano essere utili dai un’occhiata alla mia pagina Facebook.
Ringrazio Steve Buissinne per l’immagine di questo articolo.